Sì, d’accordo, “Perché Sanremo è Sanremo”.
Ma perché partire da Mestre, sorbendosi tra andata e ritorno 800 chilometri e 13 ore di viaggio in treno, per andare a camminare una mezza maratona a Sanremo? Ne valeva davvero la pena?
La Città dei Fiori è, nell’immaginario collettivo, una simbiosi indissolubile con il celeberrimo Festival della canzone italiana. Qui ogni cosa richiama ad una kermesse che fa parte della tradizione nazionalpopolare. C’è perfino la statua di Mike Bongiorno, immortalato a salutare i telespettatori con una cartellina tra le mani mentre urla quel suo immortale “Allegriaaaa”.
E poi c’è via Matteotti, dove si trova il Teatro Ariston: un corso lastricato di placche di bronzo calpestabili che riportano il titolo del brano e i nomi dei cantanti che di anno in anno hanno trionfato. Si parte dal 1951 con “Grazie dei fior” di Nilla Pizzi e si arriva ad “Occidentali’s Karma” di Francesco Gabbani. Devono ancora mettere a terra Ermal Meta e Fabrizio Moro con la loro “Non mi avete fatto niente”. Lo faranno tra qualche mese, allungando una “walk of fame” ed un cammino che proseguirà certamente per altri decenni.
Io, di camminare per qualche altro anno, ci spero. Ma perché camminare proprio a Sanremo? Nella vita del walker senza fama c’è anche il gioco dello spulciare tra le righe del calendario FIDAL, tanto per vedere quale manifestazione può essere affrontabile senza rischiare di uscire dai tempi massimi e soprattutto senza rischiare di ritrovarsi ultimi e solitari in qualche tangenziale senza lo straccio di organizzazione che ti tuteli dal traffico.
“Toh, guarda questa…”, mi sono detto. “Una mezza maratona interamente spalmata su una pista ciclopedonale. Tempo massimo 3 ore. Perché no? Sanremo non l’ho mai visitata, su una pista ciclopedonale è impossibile perdersi e al massimo, se proprio va male, vengo spalmato da una bicicletta…”. Mentre cominciavo a farmi i soliti giri di demenzial-fantasia attorno a fantomatici Nilla Pizza Party con premiazioni finali presentate da Pippo Baudo, ho provato a fare sopralluoghi virtuali lungo questa pista.
“Toh guarda… Mica c’è solo il Festival a Sanremo…”. Una pista che è un tapis roulant: accanto ti scorrono il mare, i fiori multicolor, i borghi antichi, i porti turistici e le vecchie stazioni ferroviarie. Sì, perché qui, lungo la Riviera dei Fiori, ad inizio degli anni 2000 hanno fatto una buona cosa: la linea ferroviaria Genova-Ventimiglia è stata spostata all’interno e raddoppiata, lasciando libero il sedime a stretto contatto con il mare. Ne é nata appunto la pista del Ponente Ligure che con i suoi 24 chilometri dicono essere una delle più lunghe del Mediterraneo. Attraversa 8 Comuni: Ospedaletti, Sanremo, Taggia, Riva Ligure, Santo Stefano al mare, Cipressa, Costarainera. E San Lorenzo al Mare, da dove sono partito sabato scorso assieme alla mia “socia camminatrice” Eleonora Palma per questa mezza ribattezzata “Run for the Whales”. Pacco gara con vasetto di pesto alla genovese incorporato, è una charity a favore dell’Istituto Tethys ONLUS per far conoscere le balene e i delfini che popolano le acque del ponente ligure e per raccogliere fondi da destinare alla loro tutela e alla ricerca scientifica.
Come si suol dire, tutto molto tenero, tutto molto soft. Anche nei numeri: a correre i 21 km (c’era anche una 10k e una Family run) eravamo in 300, lontani anni luce dalle mega manifestazioni a quattro cifre di partecipanti. Allo start delle 18.30 ci hanno teneramente motivato ricordandoci che l’arrivo era all’interno del campo di atletica, con trequarti di giro di pista in tartan. “Come alle Olimpiadi!!!”.
Pronti, via! Si cammina veloci. Veloci sì, ma inevitabilmente, dopo pochi metri siamo già in coda, e delle Olimpiadi mi tengo inevitabilmente stretto De Coubertin. In brevissimo tempo diventiamo esseri ciclopedonali, proprio come la pista. Nel senso che camminiamo con appiccicate alle spalle due biciclette dell’organizzazione. Più che due “scope”, due simpatici accompagnatori di sicurezza.
La cosa mette tranquillità, il caldo non è pesante, le gambe vanno in modo costante, gli occhi rubano teneramente il mare, i fiori, i borghi, i porticcioli e le vecchie stazioni. Ad ogni nostro passaggio chilometrico congediamo i volontari dell’organizzazione disseminati lungo la pista.
I banchetti dei ristori, i pettorali dello staff e i pentoloni per lo spugnaggio possono essere riposti.
“Ehi ciao, la corsa la chiudiamo noi: andate in pace. Grazie”.
Negli ultimi chilometri anche il sole prende congedo ed il finale ci riserva la meravigliosa particolarità di un pezzo di galleria che è un vero e proprio museo dedicato al ciclismo e soprattutto ad una altra kermesse celeberrima di queste parti: la Milano-Sanremo. Sulla “cupola” della galleria è un susseguirsi di immagini di campioni, di storie e di trionfi. Sull’asfalto le strisce e le indicazioni sono interamente colorate di rosa Gazzetta, così come una lunga serie di citazioni, frasi e messaggi che sanno di emozione sportiva.
L’olimpionico trequarti di pista finale in tartan lo camminiamo in volata.
E una volta tagliato il traguardo torna in mente e prende senso una di quelle scritte in rosa:
“Nessuno ha detto che sarebbe stato facile ma qualcuno ha promesso che ne sarebbe valsa la pena”. Ne è valsa la pena camminare a Sanremo.
Stefano Ciancio